VERCELLISTORIA
Uno spazio WEB dove leggere le tante "piccole storie" del suo passato antico o recente, conosciute o meno note che hanno fatto la città di VERCELLI,
Uno "spazio" dove dare "spazio" a ricerche e studi che riguardano la città.
FRAMMENTI DI MEMORIA
QUANDO L'ARTE EMERGE NONOSTANTE LA CONDIZIONE SOCIALE
Nato da famiglia poverissima che lo affida, nel 1904, all’Ospizio dei Poveri cittadino, accede avendo dimostrato notevoli propensioni , alla Scuola Professionale Borgogna di Vercelli dove, seguito da valenti insegnanti e artisti locali, ottiene ottimi risultati tanto da essere appoggiato economicamente nel perfezionamento dell’arte dapprima a Torino e poi a Parigi. Tornato a Vercelli prepara alcuni gioielli per una mostra riscuotendo un immediato successo e dando avvio ad un consenso per i suoi lavori che si concretizza fin dall’anno successivo. Operò a Vercelli nel suo laboratorio che aveva in Corso Libertà realizzando numerosissimi oggetti di oreficeria – gioielleria con le più raffinate tecniche orafe.Tra i più famosi il bracciale donato dalla Provincia di Vercelli alla figlia del Duce, Edda Mussolini, per il suo matrimonio con Galeazzo Ciano e un orologio da tasca, rimasto a Bottazzi, e realizzato per il Re Vittorio Emanuele III.Oltre al Museo Borgogna di Vercelli che possiede disegni e opere di Bottazzi, una notevole collezione di disegni preparatori per i suoi gioielli è conservata dall’orafo di Valenza Gianfranco Quartaroli e alcuni oggetti realizzati da Bottazzi si trovano di frequente in asta presso prestigiose case.
Un ritratto giovanile di Bottazzi ed un collier di sua produzione (da notare in basso a destra il suo timbro con l'indizzo del suo laboratorio orafo)
Carlo Salamano nasce a Vercelli nel 1891 e si trasferisce a Torino dove il padre apre una piccola attività industriale. Cresce in una famiglia composta da numerosi fratelli e, dopo le scuole tecniche, si impiega come operaio in una delle fabbriche di automobili nate nel capoluogo piemontese. Lì il pilota automobilistico valsesiano Vincenzo Lancia nota le sue capacità e lo vuole come suo meccanico. Assunto in FIAT, con la partecipazione della Casa alle competizioni sportive inizia a correre con le vetture partecipando al Gran Premio d'Italia del 1922 nel neonato circuito di Monza e giungendo quarto.
L'anno successivo la sua abilità verrà premiata con la vittoria proprio allo stesso Gran Premio d'Italia a Monza, che in quell'anno è anche Gran Premio d'Europa, dove giungerà primo guidando una Fiat 805 che adotta la tecnologia della "sovralimentazione" che, novita assoluta, verrà subito adottata per le vetture da corsa.
La sua vittoria ha una enorme eco in Italia e nel mondo delle corse, Salamano verrà celebrato sulle copertine delle riviste illustrate e nei resoconti giornalistici. L'orgoglio italiano è alle stelle così come quello della Fiat, tanto che sarà incaricato il famoso artista e pubblicitario Plinio Codognato per il disegno di un manifesto che celebri l'evento sportivo. Nello stesso anno Salamano partecipa, sul circuito di Brooklands negli Stati Uniti, alla 200 miglia essendo però costretto al ritiro per un guasto meccanico.
Dopo aver partecipato ad altre corse, con il ritiro, nel 1930, della Fiat dalle competizioni sportive Salamano, che dimostra una assoluta fedeltà alla Casa torinese, non corre con nessuna altra scuderia e si ritira dalle competizioni divenendo il principale collaudatore della Fiat e seguendo le vetture che vengono progettate a partire dai primi prototipi fino alla loro messa in produzione. Seguirà la nascita di auto storiche come la 508 "Balilla" voluta da Mussolini per aumentare la motorizzazione del Paese fino alle "mitiche" 600 e Nuova 500 che saranno le protagoniste, alla fine degli anni '50, del Boom economico italiano.
La sua abilità di collaudatore lo porta anche a provare, sulla pista dell'areoporto di Caselle, una vettura Fiat dotata di motore a turbina che Salamano lancerà alla velocità di 250 Km/h; la vettura è oggi esposta al Museo dell'Auto di Torino.
Muore a Torino nel 1969.
Vercelli, oltre ad avere ospitato fin dal 1913, nell’ambito della Mostra internazionale dello Sport che si tenne in città, una gara di chilometro lanciato tra vetture da corsa, aveva visto l’organizzazione di un circuito motociclistico nel 1927 alla quale partecipò, vincendolo, nientemeno che Tazio Nuvolari, quel “mantovano volante” destinato ad entrare nella leggenda.
(In basso una rara foto dell'archivio scomparso del fotografo vercellese Luigi De Fabianis tratta dalla rivista MOTOCICLISMO)
Nel 1947 la voglia di ritorno alla normalità e di “rinascita” dai periodi bui videro, insieme agli altri sport, riprendere vigore le corse automobilistiche. Fin dall’anteguerra si erano svolti numerosi “circuiti” su strade urbane e la tradizione riprese; furono molte le città che si candidarono a d essere sede di una corsa automobilistica o motociclistica, valevole a volte anche per il Campionato Italiano. Nel 1947 Vercelli chiede di ospitarne uno. Ad organizzarlo ci avrebbe pensato un trittico di personaggi legati in quel momento alla città:
Il direttore dell ACI, Tito Sabatini, romano di nascita e con il fratello collaboratore de L’Auto Italiana, la più diffusa rivista di corse auto e moto; Guglielmo Minella, presidente dell’ACI stesso ed imprenditore agricolo cittadino e, non ultimo, Donato Faini, imprenditore toscano e di nobili origini, titolare a Vercelli della omonima ditta tessile che è agli inizi di quella espansione commerciale che lo porterà ad essere, alla fine degli anni ’60, lo Sponsor della manifestazione di MISS ITALIA.
La candidatura vercellese viene accettata e con un duro lavoro il Circuito cittadino viene realizzato; tutto viene preparato: la pubblicità, i contatti con scuderie automobilistiche e piloti privati e la realizzazione materiale delle strutture. Per il percorso viene scelto quello che vedrà le auto partire da via XX settembre, percorrere in rettilineo il breve tratto di corso De Gregori, girare attorno al monumento di piazza Solferino, imboccare viale della Rimembranza da fare in “velocità” per svoltare con una curva “secca” in via Massaua da percorrere in accelerazione fino a frenare bruscamente per entrare con un’altra curva a gomito in piazza Cesare Battisti ed entrare, dopo aver percorso una "chicane" lungo via Giovane Italia al termine della quale una curva “a tornante” farà immettere i corridori nuovamente in via XX settembre per completare il giro. Il percorso risulta così lungo poco più di 1 Kilometro e 800 metri da percorrere per un numero di giri variabile a seconda della categoria di appartenenza delle vetture
Le categorie in gara saranno quattro, tre per la categoria Sport e una per la categoria Corsa; per quella Sport le classi di vetture ammesse saranno tre:fino alla 750 cc ( costituita per lo più da vetture “Topolino” adattate alla corsa), fino a 1100 cc e quella oltre 1100 cc. Nella categoria Corsa potranno gareggiare vetture fino a 1500 cc sovralimentate opposte a vetture fino a 2000cc non sovralimentate. Tutte le gare saranno valevoli per il Campionato Nazionale. I premi vanno dalle 60.000 lire (1.500 euro attuali) per il primo classificato nelle gategorie Sport alle 120.000 lire (3.000 euro attuali) per il vincitore della categoria Corse, premi decisamente esigui tradotti in cifre odierne ma apprezzabili nel periodo dell'immediato dopoguerra.
La data viene fissata al 1 giugno 1947 con un “week end” che vedrà le qualificazioni per stabilire la griglia di partenza svolgersi venerdì 30 maggio e sabato 31 maggio. Per quel giorno tutto è pronto: le tribune per gli spettatori, i Box (sistemati sul lato di fronte alla caserma di via XX settembre dove ancora c’è l’area splateata oggi occupata da Parco Camana), la transennatura del percorso disseminato di grandi balle di paglia a “protezione” delle uscite di pista ( la sicurezza all’epoca era da “brivido”).
La manifestazione del “Circuito di Vercelli”prevedeva anche una gara di motociclette, valevole solo per il Campionato Regionale che si sarebbe svolta il fine settimana successivo e, a concludere, un ultimo week-end con una gara di ciclismo.
Alla gara automobilistica si iscrivono piloti dell’epoca famosi in ambito nazionale tra i quali spicca il nome di Pietro Taruffi che vincerà a Vercelli nella sua categoria. Ma la partecipazione più importante vede l’iscrizione, nella categoria oltre 1100 cc della vettura Ferrari 125 S, pilotata da Franco Cortese, la prima vettura della neonata casa di Maranello che corre qui a Vercelli, dopo aver partecipato ai Circuiti cittadini di Piacenza e di Roma, la sua terza gara vincendola alla media di 78,430 Km/h.
Enzo Ferrari non poteva infatti, fino ad allora, costruire vetture con il suo nome in quanto contrattualmente ancora legato alla Alfa Romeo; aveva comunque già costruito una vettura da corsa qualche anno prima con il nome di Auto Avio 815 che aveva partecipato a competizioni e anche questa vettura, guidata da Beltracchini, che l'aveva acquistata, correrà a Vercelli conquistando però solo un quarto posto alle spalle di Cortese.
In basso: Franco Cortese su FERRARI 125 S
In basso a destra :LA GRIGLIA DI PARTENZA DELLE OLTRE 1100 CC, A SINISTRA LA FERRARI DI CORTESE
Da notare la grande struttura a servizio di commissari di gara e giornalisti costruita per l'occasione contro la facciata della caserma di via XX Settembre (Foto tratta da : L'AUTO ITALIANA)
Nei primissimi anni dell’800 è alto funzionario (Commissario Intendente) dell’Amministrazione napoleonica a Vercelli il parigino Francois Boulanger.
Durante il suo ufficio ha modo di conoscere una ragazza del luogo: Maria Maddalena Archibuggi che prende in moglie e della quale fa anche dipingere da un artista locale un ritratto in miniatura oggi conservato al Louvre. Coronato il suo sogno d’amore il Boulanger vede nascere l’11 marzo del 1806 a Vercelli il suo primogenito Louis Candide che viene battezzato in casa per speciale concessione, come risulta dai registri parrocchiali della chiesa di San Lorenzo.
Con il ritorno in Francia il piccolo Louis frequenta la scuola dove dimostra una grande propensione per la poesia e ,dopo gli studi classici,si iscrive, nel 1821, alla scuola di Belle Arti di Parigi. A Parigi il nostro Louis, nato a Vercelli, conoscerà, nel 1824, un poeta scrittore ventitreenne dal grande carisma, che ha già pubblicato due opere e con il quale entrerà in grande amicizia ed intimità per tutta la vita e con il quale collaborerà: Victor Hugo, che lo definirà “mon peitre” il mio pittore. Nel 1825 inizia a frequentare i circoli della scuola romantica che influenzarono decisivamente la sua arte. e nel 1827 il suo quadro”Il supplizio di Mazeppa” , oggi al museo di Rouen e tratto da un poema romantico di Byron, riscuote, all’epoca, un successo grandissimo. Presente lo stesso Boulanger il giovane musicista Franz Listz, frequentatore di casa Hugo, trarrà un breve componimento musicale sull’episodio della punizione di un cosacco sorpreso da un notabile con la propria moglie.
La sua idea che la poesia, letteratura e pittura si debbano ispirare a vicenda lo porta ad una stretta collaborazione con Hugo quando questi pubblicherà la sua opere romantiche “La ronde du Sabbath” e “Les phantomes (i fantasmi) ed il famosissimo “Notre Dame de Paris”per la quale Boulanger preparerà alcune illustrazioni realizzando delle incisioni; artista eclettico realizzerà anche i costumi e scenografie per le opere teatrali di Hugo tra le quali spiccano quelli per l’”Hernani”.
I ritratti di Hugo, della moglie e della loro figlioletta sono la naturale prosecuzione di una amicizia- collaborazione; Boulanger si rivelerà così anche un buon ritrattista ed eseguirà anche quelli di Balzac, commissionatogli dall’amante di quest’ultimo Evelyne Hanska, di Alexandre Dumas padre e del figlioletto.
Si attirerà l’ira di Niccolò Paganini che Boulanger ritrarrà, in una incisione e secondo una “leggenda” sul musicista italiano, come “colui che imparò a suonare il violino in prigione”.
Accompagnerà, in alcuni viaggi tra Spagna, Germania e Africa del nord, Sainte Beuve, Hugo e Balzac; Il Maghreb l o colpirà e produrrà una serie di dipinti “orientalisti”.
Recente è la scoperta di un suo brevissimo epistolario, attraverso una comune amica, con Alessanrdro Manzoni , che apprezza gli incisori d’oltralpe, per le illustrazioni dei “I promessi sposi” che verranno poi invece eseguite da Francesco Gonin.
Morta la moglie “piemontese” si risposerà, ultracinquantenne, con una giovane di 27 anni . Invecchiato, lontano dal Boulanger dei tempi migliori e quasi solitario accetta la carica di direttore della scuola d’arte di Digione con una vena artistica ormai diminuita, alla ricerca dell’antica ispirazione romantica, e con una situazione economica non certo florida. Dopo aver dipinto nel 1866 un’opera dal titolo “I truffatori - Vive la joie” che riprende il tema della “corte dei miracoli” tanto cara ai romantici e trattata da Hugo nel suo romanzo “Notre Dame de Paris”, muore nel 1867.
Louis Boulanger, “le peitre poete” (il pittore – poeta) ed amico di Hugo, Balzac e dei due Dumas ha forse mosso i primi passi traballanti davanti alla chiesa di San Cristoforo a Vercelli, magari guardando anche, con occhi stupiti di piccolo bimbo, gli affreschi di Gaudenzio Ferrari.
in alto: IL SUPPLIZIO DI MAZEPPA
a lato: RITRATTO DI BALZAC
in basso: PAGANINI IN PRIGIONE
Il 13 aprile del 1648 nasce a Montargis, nei pressi di Orleans, Jeanne-Marie Bouvier de La Mothe figlia di un ricco notabile del luogo. Bambina ipersensibile e fragile, sviluppa una notevole propensione per la religiosità quando viene educata in convento dal quale ne uscì a sedici anni, per volontà della famiglia ,per andare in sposa a Jaques Guyon, un ricco benestante suo concittadino. Durante il suo infelice matrimonio ha modo di incontrare Padre Francois La Combe ,un religioso barnabita anche egli dedito alla mistica, che aveva avuto modo a sua volta di conoscere a Roma Miguel de Molinos propugnatore della teoria del quietismo, incentrata sull’affermazione della necessità della preghiera di quiete, di un atteggiamento cioè di totale abbandono contemplativo i di fronte a Dio, per adorarlo, amarlo e servirlo, con assoluto abbandono alla volontà divina senza alcuna produzione di atti compresi quelli della liturgia.
Rimasta vedova nel 1676 lascia i figli e si ritira sul lago di Ginevra dove ristabilirà i contatti con Padre La Combe; “….Padre La Combe mi ha generato” scriverà.
Cacciati dal Vescovo di Ginevra, preoccupato per le loro idee poco ortodosse, iniziò una peregrinazione che portò Padre La Combe a Vercelli e Madame Guyon a Torino e poi a Grenoble. Nei primi mesi del 1685, proveniente da Genova e dopo il passaggio ad Alessandria trova alla sera del Venerdì Santo ad accoglierla a Vercelli Padre La Combe e si stabilisce in un albergo . Solitamente vietati alle donne non accompagnate vi trova posto forse anche grazie alla fama che quest’ultimo si è guadagnato in città. Incontra successivamente il Vescovo Vittorio Agostino Ripa ,eletto nel 1679, che, legato al Cardinale marchigiano Petrucci, era tra gli aderenti italiani al quietismo moderato. Ripa forse non vede di buon occhio il suo arrivo a Vercelli ma quando ne viene a conoscenza da Padre Lacombe la fa prelevare da una carrozza per portarla in Arcivescovado e, in una lingua tra il francese e l’italiano, ne rimane subito affascinato: “il suo solo passatempo, tra tante incombenze,è quello di passare mezz’ora con me a parlare di Dio” scriverà lei.
A Vercelli soggiornerà diversi mesi preparando, forse, la pubblicazione del suo “Commentaire de l’Apocalipse” mentre Padre La Combe pubblica il suo libro “Orationis mentalis analisis” con i tipi di Nicolaum Hyacinthum Martam stampatore “approvato” dal Vescovo ed appartenente ad una famiglia vercellese che tenne una tipografia in città per tre generazioni tra il XVII ed il XVIII secolo.
A far loro decidere la partenza da Vercelli è il richiamo a Parigi di Padre La Combe unito,forse, all’interessamento della Santa Inquisizione verso i due . Alla metà del 1686, diretto dapprima a Chambery e poi di lì a Grenoble per tornare a Parigi, parte La Combe seguito pochi giorni dopo da Madame Guyon accompagnata da un gentiluomo.
Ritornata quindi a Parigi in un momento durante il quale Luigi XIV lancia una “crociata” contro le idee che non siano ortodosse, viene arrestata e rinchiusa in un convento poco dopo l’imprigionamento di La Combe. Liberata grazie all’abiura delle sue idee ed all’interessamento di una nobile elettasi a sua protettrice divenne frequentatrice dei circoli religiosi che gravitavano attorno alla corte del Re. Il suo misticismo esasperato e le sue parole le valsero però un nuovo processo con una condanna che la vide, seppur sotto il controllo religioso, libera forse sempre grazie alla sua vicinanza alla nobiltà . Sfuggita al controllo ecclesiastico venne nuovamente arrestata e rinchiusa alla Bastiglia nel 1696 dove rimase per quasi sette anni. Ne uscì per dimorare con il figlio dedicandosi ad opere di carità, dove ricevette ospiti ed ammiratori stranieri e dove morì il 9 giugno 1717. Due anni prima era morto in carcere senza mai uscirne Francois La Combe.
Madame Guyon lascerà in manoscritto la sua autobiografia che sarà largamente pubblicata postuma fin dalla sua morte e dove è ricordato anche il soggiorno presso il Vescovo di Vercelli.
Dopo essere stata conosciuta negli ambienti protestanti, soprattutto americani e canadesi, e tra i calvinisti ,negli ultimi anni un notevole interesse ha destato in Francia la rilettura delle opere e della personalità di Madame Guyon attraverso gli studi della cattolicissima Marie Louise Gondal che ha rivalutato in maniera critica il suo pensiero e i suoi scritti mettendone in luce nuovi aspetti.
Due ufficiali dei Carabinieri in borghese appartenenti ai Reparti Speciali di Milano e legati ai Servizi Segreti bussano alla porta di un appartamento al numero civico 54 di via Foa a Vercelli il 1° agosto 1957. L’abitazione è quella di due donne, madre e figlia: Rosa e Amalia “Mimì” Panvini Rosati, quest’ultima laureata in chimica all' Università di Torino. I militari si sono finti acquirenti interessati ai diari/agende autografe di Benito Mussolini che le due stanno cercando di “piazzare” sul mercato dei cimeli del ventennio molto fiorente in quel periodo. Ne sarebbero entrate in possesso, a loro dire, tramite il di loro defunto padre e marito Giulio (un ex questurino che aveva aderito alla RSI) e attraverso il suo contatto con una persona incaricata di consegnarglieli per conto di Paolo Zerbino un monferrino ultimo Ministro dell’Interno di Salò, catturato e fucilato a Dongo con Mussolini, e già Segretario del PartitoNazionaleFascista di Vercelli.
Dopo un tentativo di vendita a testate italiane le due donne avevano incontrato la corrispondente italiana della rivista americana “Life” Dora Jane Hamblin, che si era improvvidamente dimostrata interessata; la loro richiesta era di 150.000 dollari dell’epoca (più di 1 milione di Euro attuali) con la transazione che avrebbe dovuto svolgersi in Svizzera per evitare guai legali con lo Stato Italiano trattandosi di documenti storici. A questo punto entrò nella fase finale l’attenzione dei Servizi Segreti per la vicenda.
I volumi, agende dell’epoca che risulteranno essere state fatte “ristampare” ex novo con un inganno ad ignari tipografi cittadini, vengono così sequestrati e dichiarati falsi dall’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Le due donne vengono processate e condannate dal Tribunale di Vercelli nel 1961 ed in appello nel 1962 per “truffa,falso e occultamento, sottrazione e falsificazione di atti o documenti concernenti la sicurezza nazionale o aventi interesse politico”.
Amalia sarà ancora protagonista della vicenda nel 1967 quando alcuni diari mussoliniani ricomparirono a Londra dove venne “raggirato” il “Sunday Times” che li pagò 235.000 sterline dell’epoca. Una immediata perquisizione degli inquirenti vercellesi porterà alla scoperta in casa Panvini di altre agende non ancora completate sul periodo di guerra. La donna esibirà un certificato che le dichiara, forse su consiglio del suo legale, “oggetti curiosi” venduti , attraverso i contatti di due suoi amici, proprio ad un personaggio inglese che ha un ruolo nella vicenda di Londra.
La popolare trasmissione televisiva TV7 dedicherà alla vicenda un servizio nel 1968, servizio durante il quale un giovanissimo Emilio Fede le intervista e riprende “in diretta” la produzione di un testo con la calligrafia del Duce. In quella occasione anche il settimanale americano “Life” pubblica un articolo sulle due vercellesi proprio a firma della Hamblin che le Panvini Rosati avevano cercato di raggirare dieci anni prima.
In un nuovo processo tutti i protagonisti, Amalia ed i suoi due referenti, vennero assolti anche perché dalla cassaforte del giornale londinese erano intanto “spariti” i diari acquistati, venendo così a mancare il corpo principale del reato.
Lo storico Mimmo Franzinelli , autore di un recente saggio sull’argomento dei falsi mussoliniani, ritiene che appartengano agli apocrifi creati a Vercelli dalle Panvini Rosati anche una parte dei Diari acquistati per una considerevole somma qualche anno fa da Marcello dell’Utri dopo decenni di tentativi di vendita a testate giornalistiche e privati.
Il confronto tra la grafia originale di Mussolini (in alto) e quella delle due donne vercellesi (in basso).
Le note numeriche sono l'aggiunta del perito calligrafico per evidenziare i punti di differenza.
La copertina della Domenica del Corriere del 1967 dopo l'apparizione a Londra dei diari di Mussolini e che ritrae Mimì Panvini titolando "La romanzesca vicenda dei diari del Duce scritti a Vercelli e venduti a Londra"
Il 4 novembre 1944, partendo dalla base di Solenzara in Corsica, uno squadrone di velivoli B25 Mitchell americani raggiunge Vercelli e bombarda il ponte sul fiume Sesia centrando in pieno l'obiettivo della missione. In basso a sinistra la fabbrica Chatillon in corso Rigola.
Il bombardamento avvenne nella prima mattinata ed una ulteriore fotografia del ponte colpito è stata scattata durante l'operazione degli aerei americani. La fotografia che qui si vede è invece stata scattata alle ore 13,22 mentre i bombardieri tornavano alla base in Corsica dopo aver colpito altri obiettivi. In questa immagine è infatti possibile vedere, tracciato in bianco, il "disegno" del rapporto della missione che indica i singoli ordigni che hanno colpito l'obiettivo stesso.
E' questo la seconda incursione aerea pesante che subisce la città dopo quella, tragica per il numero delle vittime, avvenuta sei mesi prima il 28 maggio 1944.
MANIFESTO DELLA FABBRICA INCAR attiva a Vercelli dalla fine degl anni '40 fino al 1959 quando si trasferì a Trino vercellese cessando poi l'attività nel 1961. Produsse, con l'inizio delle trasmissioni RAI nel 1954, oltre ad apparecchi radiofonici anche televisioni ed altri elettrodomestici. La sua sede produttiva era in via Quintino Sella nei locali dell'Ospizio ECA (oggi abbattuti per fare posto al Centro di Formazione della Regione Piemonte). Nel 1951 la INCAR costruisce anche segnalatori marini per navi e, grazie a questa competenza, realizza anche un radiotelefono portatile che viene "provato" a bordo dell'auto del figlio del proprietario; un vero e proprio antenato degli odierni smartphone.
IN BASSO LA PUBBLICITA' DI UN MODELLO DI TELEVISORE TRATTA DALLA RIVISTA "QUATTRORUOTE" (fine anni '50)